“Sono le 22:48 del 23 maggio 2025, il Napoli è campione d’Italia per la quarta volta nella sua storia”. Tra le lacrime liberatorie generali risuonano festose le parole di Francesco Repice al fischio finale di Napoli-Cagliari.
Ma riavvolgiamo il nastro.
Il Napoli è reduce da un decimo posto, un’annata post scudetto tra le più sciagurate di sempre nonché la peggiore della era De Laurentiis. Sfottó avversari come “ci rivediamo tra 33 anni, miracolati” risuonano quasi come una maledizione nella testa dei tifosi.
5 giugno 2024, arriva all’ombra del Vesuvio Antonio Conte. L’uomo della provvidenza, l’uomo che è nato per ribaltare i pronostici da situazioni drammatiche. Pochi proclami ed un motto perentorio alla presentazione: “Amma faticà”. Chiara l’allusione al disastro dell’anno precedente. L’obiettivo è “lavorare per dare fastidio”.
Dopo i ritiri di Dimaro e Castel Di Sangro, inizia la stagione 2024-25. Nel corso di un campionato tra i più combattuti ed avvincenti degli ultimi anni dove per assegnare rispettivamente scudetto, quarto posto valido per la Champions e due retrocessioni su tre si è dovuto attendere l’ultimo turno, il Napoli ha vissuto un saliscendi di emozioni nelle quali i cardiologi ci avranno sguazzato con piacere. Se ad un ipotetico poveraccio entrato in coma a ridosso del 2023 e casualmente risvegliatosi a fine maggio 2025 dicessero: il Napoli in questi tre anni ha vinto uno scudetto, è arrivato decimo l’anno dopo ed ha rivinto lo scudetto l’anno successivo al decimo posto credo non esiterebbe un attimo a riaddormentarsi.
Una campagna acquisti estiva vissuta con attesa di nuovi arrivi in modo snervante ed angosciante è andata risolta in positivo soltanto sul filo del rasoio, un po’ com’è stata la storia di tutta la stagione.
Quest’ultima si apre con la coppa Italia, il 10 agosto 2024, con il Napoli che con fatica vince ai rigori contro il modesto Modena, squadra di cadetteria che è venuta al Maradona con personalità giocando mentalmente e sportivamente sulle lacune degli azzurri. Coppa Italia che si concluderà in modo acerbo e superficiale due turni dopo in casa della Lazio con un netto 3-1. In mezzo alle due sfide il rotondo 5-0 al Palermo di fine settembre con i primi squilli di tombra dei nuovi acquisti Neres e dello scozzese Scott McTominay, oltre che di Lukaku che sforna un assist da manuale.
Pochi giorni dopo la sfida agli emiliani un Napoli in evidente costruzione e non una squadra fatta e finita capitombola a Verona per 3-0 e le parole di Conte confermano il disastro annunciato della vigilia: “siamo vicini all’anno zero, devo chiedere scusa al popolo napoletano perché è colpa mia, vorremmo fare di più ma così è difficile, in questo momento è difficile”.
Frase che ha il sapore di sentenza. Messaggio rivolto in modo inequivocabile alla dirigenza, prontamente colto che, con notevole rischio d’impresa, porta a casa gli esperti e sopracitati Neres, Lukaku, McTominay e la giovane promessa ma di gran prospettiva Gilmour (questi ultimi due ufficializzati l’ultimo giorno utile per la chiusura delle trattative). Il tutto senza vendere il bomber Osimhen, che aveva puntato i piedi già a fine campionato precedente per andar via. Ostaggio del Napoli i 10 milioni netti d’ingaggio percepiti dal nigeriano, viene lasciato in prestito al Galatasaray rimandando il problema all’anno successivo. Ma si sa, quando prendi Antonio Conte devi mettere in conto anche il doom spending.
Problem solving? In parte, dato che al netto di un Napoli più rodato e con acquisti di qualità si iniziano ad intravedere buoni propositi: secco 3-0 al Bologna e roboante 2-1 al Parma nel giro di una settimana, entrambe al Maradona, complice un intervento da karateka dell’estremo difensore parmigiano Suzuki, su di lui ci torneremo dopo, che lascia in dieci la propria squadra, costretta a schierare un difensore in porta per esaurimento cambi, e spiana la strada al Napoli verso una rimonta clamorosa nei minuti di recupero con la prima rete in maglia azzurra di Lukaku alla prima presenza partenopea e di Anguissa, che sarà con sorpresa molto determinante in fase offensiva nel corso dell’intera annata, realizzando record di gol personale in un intero campionato (sei con altrettanti quattro assist).
Nelle uscite successive il Napoli mostra solidità e compattezza di reparti, che sarà punto di forza in tutto il percorso: 0-4 a Cagliari alla quarta giornata culminato dalla conquista alla sesta giornata della vetta della classifica (complice la sconfitta nel derby dell’Inter), tenendola in solitaria per ben nove turni, lasciandola per tre ad Atalanta e Fiorentina dalla 15esima alla 18esima, riprendendola per altri otto e donando poi sette giornate di gloria all’Inter prima del sorpasso definitivo azzurro alla 34esima.
Non è stata certamente una presa di primato netta e dominante da parte del Napoli, che ha avuto picchi di prestazioni negative miste ad ottimi lampi di partite, soliti durare un tempo o 60’ in alcuni frangenti ma sufficienti, talvolta non senza fortuna, per portare a casa il bottino pieno. In due occasioni i partenopei hanno tuttavia rischiato una Caporetto-bis: in casa delle romane, ove si sono fatti acciuffare nei minuti finali dal romanista Angeliño prima e due settimane dopo dal laziale Dia, ancora lui, che due anni prima rimandó la festa scudetto, lasciando sul prato dell’Olimpico quattro punti potenzialmente pesanti. Basti inoltre pensare che gli infortuni, da novembre in poi, non hanno dato tregua agli uomini di Conte, costretto a mettere delle pezze e giocando con calciatori adattati in più di un’occasione: Olivera centrale di difesa al posto del suo ruolo naturale di terzino sinistro ne è la prova più evidente dato che Buongiorno e Juan Jesus hanno vissuto un calvario piuttosto che una stagione calcistica. Talvolta il Napoli si è trovato costretto a non perdere piuttosto che forzare la mano per vincere facendo di necessità virtù (la prova è la gara di Bologna nella quale gli azzurri nel secondo tempo sono stati totalmente in balìa degli attacchi felsinei, riuscendo a portare a casa un insperato pareggio).
È stato un gioco al massacro psicologico questo campionato, minuziosamente basato sui dettagli, sull’errore dell’avversario, dove da un secondo all’altro la storia si capovolgeva senza pietà. Come se non bastasse il Napoli ha dovuto fronteggiare anche l’improvviso e frettoloso saluto di Khvicha Kvaratskhelia, accasatosi al Paris Saint Germain da gennaio lasciando i partenopei ad un (apparente) destino inesorabile. Odi et amo al momento dell’addio del georgiano: i detrattori per antonomasia hanno iniziato a sparare a zero sul calciatore campione d’Italia due anni orsono con Spalletti, definendolo traditore per aver lasciato i suoi a campionato in corso ed al primo posto in piena lotta tricolore. La parte più razionale della piazza ha capito le ambizioni “dalle grandi orecchie” del georgiano oltre che naturalmente di portafoglio, ringraziandolo e rimanendo concentrata esclusivamente sul campionato del Napoli, che sarebbe diventato di lì a qualche mese storico. Ironia della sorte l’ex 77 azzurro giocherà la finale di Champions League contro un’italiana: la spavalda corazzata dell’Inter di Simone Inzaghi, arrivata seconda in campionato e semifinalista di coppa Italia. Nonostante questo addio il Napoli batte consecutivamente 2-3 l’Atalanta a domicilio e la Juventus al Maradona. Un mese più tardi il pari per 1-1 interno contro l’Inter darà la consapevolezza agli azzurri di potersi giocare il titolo fino alla fine, mettendo sotto Lautaro e compagni per larga parte della gara. Billing, arrivato nel mercato invernale, all’88esimo si ritroverà ad essere il Jack Sparrow napoletano, il personaggio divenuto eroe della gara prima e, a detta dei compagni, del tricolore poi, che permette al Napoli di restare aggrappato ai nerazzurri.
Dopo alcune gare dall’eterno saliscendi ed il sorpasso definitivo sull’Inter (Napoli a 3 punti di vantaggio) sul finire del 34esimo turno (0-1 contro la Roma e 2-0 del Napoli al Torino) le ultime tre giornate della Serie A 24-25 sono state il giusto epilogo di un campionato al cardiopalma, dove il duro lavoro ha ripagato rispetto allo smisurato talento ed alla forza di una squadra sulla carta superiore. Mi consentirà, mi auguro, il Padre del thriller Stephen King per la citazione: “Il talento è meno costoso del sale da tavola. Ciò che separa l’individuo di talento da quello di successo è un sacco di duro lavoro”.
Nulla pero è ancora scritto e se nei due turni dopo il 2-2 rocambolesco contro il Genoa del 36esimo turno e la vittoria dell’Inter per 2-0 contro il Torino, che ha portato i nerazzurri a -1 dai partenopei, non ci fosse stata la contemporaneità di gare tra le due squadre al vertice, probabilmente pullman scoperti e feste degne delle più grandi americanate sarebbero rimasti un sogno di una notte di mezza estate. Il talento nerazzurro è stato oscurato dal duro ed ossessivo lavoro di Conte e dei suoi ragazzi, quasi commilitoni.
Se in città napoletana nei giorni dalla 37ª fino a dopo la 38ª giornata la mitica Raffaella Carrà la fa da padrona nelle casse musicali dei bar e dei locali di movida del capoluogo partenopeo va ringraziato l’omonimo ragazzo, titolo del brano dell’ex cantautrice italiana , che ha deciso di essere arbitro di una lotta scudetto che ricorderemo tutti, anche i neutrali. Il suo nome è Pedro, 37 anni e gioca nella Lazio e la sua carriera fatta di esperienza e di attribuiti si è palesata tutta nel rigore calciato in rete al 90’ in casa dell’Inter, condannando i nerazzurri ad un campionato che avevano quasi in pugno <
Al tramonto del match tra Parma e Napoli, quando ormai il muro degli emiliani sembrava essere inscalfibile tra pali e miracoli di ancora una volta Suzuki, sopattutto su una punizione tolta dall’incrocio dei pali a McTominay, il destino “benevolo ma beffardo” fa sì che il direttore di gara Doveri fischi un rigore al minuto 96 al Napoli per un placcaggio netto su Neres. La partita tra Inter e Lazio era finita: 2-2 e l’Inter aveva avuto la colossale palla gol con Arnautovic per tornare in vantaggio, oltre che un gol annullato, sempre dello stesso Arnautovic. Conte, espulso per un principio di rissa pochi minuti prima, non trattiene l’esultanza per il rigore e deve essere strattonato dal direttore sportivo Manna onde evitare invasioni di campo che avrebbero comportato una squalifica ancor più lunga. Credete sia finita qui? No, perchè il Var come sempre è in agguato. E se tutto lascia presagire ad un lieto fine, con lo stesso Neres già sul dischetto pronto a calciare, ecco che per un goffo quanto assurdo fallo fischiato a Simeone, c’è la revoca del rigore e la gara si chiude sullo 0-0 pochi minuti dopo. Nonostante questa beffa finale, aleggia un’aria più che positiva a Napoli e tra il gruppo squadra azzurro. Evidente prova che in una corsa a due ogni minimo episodio faccia tutta la differenza del mondo ed il pareggio dell’Inter aveva surclassato mentalmente il rigore non concesso.
A 90’ dalla fine del campionato la classifica recita Napoli 79, Inter 78. Conte ed i suoi sotto alla curva si lasciano andare a sfoghi emotivi e caricano il pubblico verso l’ultimo, decisivo, passo finale. Pako Mazzocchi, un napoletano che “ce l’ha fatta” diremmo una settimana dopo, si improvvisa ultras e quasi supplica il tifo organizzato per un sostegno forsennato nella gara finale insieme a Politano. L’ultima dichiarazione nella conferenza stampa post partita del mister azzurro è chiara: “ai ragazzi dirò andiamo a prenderci lo scudetto” lasciandosi finalmente andare dopo un anno in cui è sembrato che la scaramanzia napoletana lo avesse divorato, mista al personaggio sibillino che è sempre stato Antonio Conte. La locuzione del “dare fastidio” ormai è divenuta un lontano ricordo. Bisognava sbottonarsi, nascondersi non era più contemplato.
Siamo al 23 maggio 2025. Al Maradona arriva il Cagliari per l’ultima di 38 battaglie. L’ansia tra i tifosi è a mille ma al contempo l’aria di festa sovrasta quasi ogni “fantasma” che avrebbe potuto condizionare la gara degli azzurri. Dalla metropolitana all’esterno dello stadio nell’attesa dell’arrivo del pullman del Napoli un solo coro, frastornante e passionale: “il Maradona vuole vincere”. Conte post partita lo dirà: “E se a questa gente che ci sosteneva così non avessi dato lo scudetto? Non mi sarei ripreso per molto tempo”.
Lo sguardo assassino e ricco di carica agonistica di capitan Di Lorenzo e compagni fa capire subito al Cagliari chi comanda. Contrasti duri ma leali: il Napoli lascia intendere a tutti che vuole prendersi la gloria eterna, scrivere la storia e lasciarla leggere agli altri. Ovviamente le cose più belle sono quelle più sudate: Inter in vantaggio, Napoli fermo sullo 0-0 e bloccato dalle parate dell’estremo difensore sardo Sherri su Rrahmani prima, Gilmour e Spinazzola poi. I fantasmi di cui sopra iniziano timidamente ad aleggiare. Per pochissimo però, poichè ogni squadra, ogni popolo, ogni racconto destinato ad un finale positivo ha un uomo della provvidenza: e come non poteva esserlo Scott McTominay dopo la stagione in doppia cifra (12 gol) , da trascinatore vero, vissuta al primo anno di Napoli? D’altronde lo aveva detto nel video di presentazione: “io sono qui per vincere non per fare foto e video” con quel fare che solo i british hanno. Sforbiciata su un cross perfetto di Politano e palla in rete. 1-0 al Cagliari. Tripudio di festa e fumogeni al Maradona. La partita nei minuti precedenti all’intervallo è impresa ardua vederla. Una cappa di fumogeni avvolge il terreno di gioco, con i bomboni all’esterno dello stadio ad accompagnare i cori stordenti all’interno. Mai Napoli era stata così convinta di esser vicina al traguardo del quarto tricolore. Lo stesso scozzese dirà “I’m so happy guys” al fischio finale.
Ad inizio ripresa il gol del bistrattato leader Romelu Lukaku è il punto esclamativo su una festa annunciata. Con il suo strapotere fisico ed il suo sentenzioso mancino realizza forse il gol più bello del suo intero campionato. Sul più determinante ci sono pochi dubbi, ovviamente.
Cito Paolo Sorrentino, ringraziando Michele Cecere nel suo pezzo per Ultimo Uomo per avermi dato l’assist: il quarto Scudetto del Napoli è servito, esattamente come un amore giovanile, a regalarci «l’illusione della spensieratezza».
E per darvi una risposta all’interrogativo del titolo ebbene sì, 33 anni sono passati con la stessa velocità ed estasi che si provano nel bere un bicchiere d’acqua, Nanni Moretti insegna.